The truman show - smart working per obiettivi o prestazione virtuale?

Ricerche e interviste riportano di grandi miglioramenti nella performance delle persone che lavorano in smart working.

Come abbiamo visto nei precedenti appuntamenti, le organizzazioni segnalano significativi cali di assenteismo, persone più responsabilizzate nel raggiungere i propri obiettivi, aumento vertiginoso del livello di engagement. D’altra parte, le persone dichiarano maggiore soddisfazione lavorativa e di relazione con capo e colleghi (anche se, abbiamo visto, ci sono luci ed ombre).

 

Impression management

Innanzitutto, credo che possa essere interessante fare una riflessione sul cosiddetto “impression management”, cioè sull’insieme di azioni che le persone compiono nel tentativo di fornire un’immagine di sé vicina a quella che la propria rete sociale desidera.

Infatti, se capiamo quali sono le tecniche per apparire meglio di ciò che si è, possiamo più facilmente riconoscerle e misurare la performance dello smart worker per quello che è e non per quello che appare.

Le tecniche di impression management possono essere assertive (evidenziare i propri pregi o conformarsi all’interlocutore) o difensive (accampare scuse, fornire giustificazioni e spiegazioni o scusarsi). La difficoltà nel riconoscerle, risiede nel fatto che questi atteggiamenti possono essere anche comportamenti normali e funzionali ad una relazione onesta e trasparente. La differenza sta proprio nell’intenzione con la quale agisco quei comportamenti: Gardner e Martinko descrivono gli impiegati come attori su un palcoscenico organizzativo che recitano per creare l’immagine adatta al proprio interlocutore.

È evidente che la distanza fisica e la mediazione della relazione attraverso i mezzi informatici rendono più complessa la comprensione delle intenzioni che stanno dietro ai comportamenti agiti. Tuttavia, questa chiave di lettura può aiutarci a comprendere meglio se il nostro interlocutore è trasparente o sta cercando di gestire la propria immagine.

Un elemento molto importante da considerare è che esistono alcuni fattori che facilitano le persone nell’attivare dinamiche di impression management. Fra questi, due in particolare sono interessanti ai fini delle nostre riflessioni:

1.     obiettivi poco chiari: se le attese nei confronti di una persona sono definite in modo ambiguo, per questa persona sarà più semplice far apparire la propria performance migliore di quella che è;

2.     norme burocratiche: a volte le persone rispettano le regole in modo formale, dando l’impressione di essere rispettosi dei valori di fondo dell’organizzazione ed utilizzano questa immagine per nascondere comportamenti scorretti. Quanto più l’organizzazione ha norme formali e slegate dai valori, tanto più questa operazione ha spazio.

Per contrastare questi fattori, una chiave estremamente efficace è ragionare in termini di senso.

 

La catena di senso

Ricostruire la catena di senso significa mettere in luce i nessi che portano dalla Vision alle strategie e obiettivi strategici, per arrivare agli obiettivi operativi e da qui ai compiti e alle singole azioni che li compongono. Questo permette di aiutare ciascun lavoratore a collocare ogni azione all’interno del progetto strategico più ampio, rendendone chiaro il senso ed il risultato atteso.

Analogo discorso vale per la Pubblica Amministrazione, dove però al posto della Vision troviamo il Valore Pubblico che l’organizzazione si prefigge di generare.

A questo proposito, nella sezione “Spazio alla PA” potete trovare uno spunto interessante realizzato dalla Regione Friuli Venezia Giulia.

Se siamo in una fase nella quale la cultura del lavoro per obiettivi è ancora poco diffusa, sarà importante non solo chiarire come la Vision ed il Valore Pubblico vengono operazionalizzati fino ad arrivare ai singoli compiti e alle singole azioni, ma, ogni volta che si assegna un’attività, sarà opportuno anche risalire la catena di senso, evidenziando in che modo quella azione contribuisce alla realizzazione delle più alte strategie dell’organizzazione.

In questa operazione possono essere utili le Balanced Scorecard di Kaplan e Norton che, raggruppano gli obiettivi necessari per realizzare le strategie secondo quattro prospettive:  

Ø economico-finanziaria

Ø processi interni

Ø clienti

Ø apprendimento e crescita

Questa classificazione ci aiuta a mettere a fuoco tutte le azioni necessarie per realizzare le strategie e a fornire una lettura sistemica degli obiettivi che l’organizzazione si pone.

A questo proposito, nella sezione “Spazio alla PMI” potete trovare uno spunto interessante realizzato da SAES Getters.

 

Dagli obiettivi alle singole azioni

Quando bisogna facilitare il passaggio da una cultura in cui il lavoro è misurato sul tempo ad una in cui è centrato sul risultato, può essere utile accompagnare i lavoratori (e l’organizzazione tutta) nell’evidenziare il nesso - troppo spesso dato per scontato - tra obiettivi operativi, compiti e azioni.

Un aiuto prezioso a questo proposito ci viene dal project management, in particolare con tre strumenti:

Ø il diagramma di Gantt è indubbiamente il più utilizzato anche al di fuori delle società di ingegneria e ci aiuta a identificare le fasi di un progetto

Ø la Work brakedown structure aiuta a “spacchettare” ogni compito in singole azioni. In questo modo è più semplice tenere tutto sotto controllo e non rischiare di rimanere a corto di risorse (tempo, soldi, persone, …), ma questo strumento è anche molto utile per assegnare compiti mantenendo saldo il collegamento tra singola azione, compito e obiettivo

Ø il percorso critico aiuta a individuare i tempi complessivi del progetto ed i margini di ritardo che ciascuna sottofase può accumulare senza che questo abbia effetti sul risultato finale. Di nuovo, uno strumento utile per tenere sotto controllo i tempi, ma anche per definire le priorità e valutare la gravità di uno slittamento; quindi, per posizionare ogni singola azione nel quadro più complesso del raggiungimento dell’obiettivo.

 

Quale modello di controllo?

Nell’approccio al lavoro per obiettivi, il controllo che il supervisore esercita nei confronti dei propri collaboratori deve essere di tipo supportivo: verificare se ci sono problemi ed intervenire solo in caso di necessità.

Altri tipi di controllo di concezione più tradizionale, quali, ad esempio, la verifica dei tempi di connessione, non sono funzionali e dovrebbero essere utilizzati solo nei casi in cui ci sia un fondato sospetto che il lavoratore stia venendo meno al proprio dovere. Il rischio di questi tipi di controllo è infatti duplice: da un lato impediscono l’instaurarsi di una relazione di fiducia e dall’altro spostano di nuovo il focus dal risultato al tempo, vanificando tutte le operazioni descritte sopra.

 

Valutazione

D’altra parte è chiaro che, anche se ci trovassimo - e non lo siamo - in una situazione altamente predittibile, nella quale il capo può dire con sicurezza al collaboratore cosa deve fare e questo lo facesse puntualmente, sarebbe pur sempre possibile che il risultato finale non venga raggiunto. Questo è ancora più vero nella situazione attuale, nella quale il futuro è caratterizzato da grande incertezza.

Allora, come valutare un collaboratore che non ha pienamente centrato gli obiettivi? La sua performance sarà sempre per forza negativa?

E siamo sicuri che un lavoratore che ha portato a casa tutti i risultati è sempre encomiabile?

Penso che tutti abbiamo in mente colleghi poco attenti agli altri che pur di avere successo sono disposti a calpestare chiunque altro ed è importante che le organizzazioni disincentivino questo tipo di atteggiamento.

È quindi particolarmente importante valutare, oltre al raggiungimento degli obiettivi, anche i comportamenti organizzativi e la prestazione extracontestuale, cioè tutti quei comportamenti collaborativi che non sono indicati nella job description, ma che sono funzionali al buon andamento dell’organizzazione.

Inoltre, trovandoci in un periodo caratterizzato da continue transizioni, potrebbe essere molto importante valorizzare anche il contributo all’innovazione ed alla rilevazione dei segnali che indicano la necessità di un cambiamento.

Infine, nel caso di prima attivazione dello smart working potrebbe essere interessante assegnare degli obiettivi specifici relativi all’attivazione dello smart working. A questo proposito, nella sezione “Spazio alla PA” potete trovare uno spunto interessante realizzato dal Consiglio regionale della Lombardia.

 

Dal tempo agli obiettivi

In sintesi, per passare da una cultura del lavoro come tempo ad una cultura del lavoro per obiettivi è necessario definire la catena di senso e comunicarla chiaramente, indicando obiettivi, indicatori e target. In particolare nella fase iniziale, può essere utile scomporre i compiti in singole attività risalendo gradualmente la catena di senso e fornendo supporto   solo quando è necessario. Nel valutare la performance dello smart worker sarà importante considerare non solo i risultati ottenuti, ma anche i comportamenti organizzativi (in particolare quelli collaborativi) ed il contributo all’innovazione.

In questo modo, i lavoratori saranno focalizzati sul senso delle attività che svolgono e sul contributo che stanno dando al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione con effetti positivi sulla responsabilizzazione e sulla performance.

Chiara Pollina